Meditazione sulle letture di domenica 11 febbraio 2024

Meditazione sulle letture di domenica 11 febbraio 2024
VI Domenica del Tempo Ordinario – Anno B
Beata Vergine Maria di Lourdes
Letture: Lv 13,1-2.45-46   Sal 31   1Cor 10,31-11,1   Mc 1,40-45
La lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato.

> Leggi le letture di oggi, domenica 11 febbraio 2018

Le letture e il tema della liturgia di questa domenica trovano un legame efficace e appropriato con la festa della Beata Vergine Maria di Lourdes. Lourdes ci richiama in misura significativa l’attenzione agli ammalati e alla sofferenza. E questo è proprio anche il tema della liturgia di questa domenica. In realtà il “filo rosso” della sofferenza, della malattia e della guarigione era apparso già nelle letture delle precedenti domeniche. Due domeniche fa, Gesù, nella Sinagoga aveva guarito un indemoniato, mentre la scorsa domenica abbiamo meditato sul racconto della guarigione della suocera di Pietro e poi di “molte altre guarigioni”.

La parola centrale della liturgia di oggi è sicuramente LA LEBBRA, che è protagonista sia nel Vangelo che nella prima lettura. E’ una parola dura, violenta, che spaventa. E’ un po’ lontana dalla nostra sensibilità di oggi. Forse potremmo tradurla con “TUMORE MALIGNO”, anche se nemmeno questa parola rende bene, in quanto quest’ultimo non comprende tutta la sfera di “paura”, di “contagio”, di “diffusione” che, invece, avvolge la lebbra e chi ne è afflitto. Il solo contatto con un lebbroso può essere letale. Il suo contagio è rapido e fatale. La lebbra è una malattia mortale, infettiva, immonda, che porta inevitabilmente alla dissoluzione del corpo, che cade a brandelli, con una indicibile vergogna per l’ammalato, che viene emarginato, costretto a soffrire in silenzio, nell’orrore della malattia.

Questo tema della sofferenza e dell’emarginazione, ben richiamato dalla prima lettura del Levitico, rende significativo il comportamento di Gesù. Egli è mosso a compassione, stende (per primo!) la mano, TOCCA il lebbroso (gesto rischiosissimo, vietato dalla legge del Levitico che abbiamo appena letto) e lo guarisce, dimostrando nuovamente la sua vittoria sul male.

Nella essenzialità del racconto (che caratterizza un po’  lo stile essenziale dell’evangelista Marco), dopo la guarigione, compare una nota tenerissima. Da un lato Gesù sembra essere duro nell’imporre il silenzio alla persona che ha appena guarito (è nuovamente il “segreto messianico” di Marco, che abbiamo già letto domenica scorsa), ma dall’altro vi è la tenerezza indicibile di questo uomo, appena salvato dalla morte, che non riesce a contenere la sua gioia, la gioia della guarigione e dell’incontro con Cristo. Questa gioia irrefrenabile lo porta a disubbidire e ad andare “a proclamare e a divulgare il fatto”. E’ bellissimo immaginare la gioia di questo uomo, che salta, corre, ride, proclama a gran voce la sua guarigione e la grandezza di Colui che lo ha guarito.

In questo racconto evangelico è quindi presente ancora una volta il delicato tema della sofferenza e di come viverla. Il dolore e la sofferenza sono il momento dramatico, di frontiera della vita dell’uomo, della verità. Qui si gioca e si compie tutto. Nel momento della sofferenza e del dolore, si rischia la fede, che si abbraccia o si rifiuta. Il dolore è la grande occasione dell’esistenza umana. E Gesù è presente in questa zona “di frontiera” dell’esistenza umana. Gesù è presente e lotta contro il male, contro il limite, contro il dolore. E, di conseguenza, sull’esempio di Gesù, là dove è presente il male, la sofferenza, l’imperfezione, devono essere presenti e operosi anche i cristiani. E’ questo un tema caro anche a Papa Francesco, che con la sua testimonianza e la sua parola ci spinge spesso in questa direzione. La prima lettura di oggi ci rivela in modo impressionante la durezza dell’esclusione, di quella che Papa Francesco chiamerebbe la “cultura dello scarto“. L’impurità separava non solo da Dio, ma anche dalla comunità. Per questo il lebbroso deve vivere fuori della società. Questa norma era basata su ragioni igieniche, ma era soprattutto la materializzazione della paura. Evidenziava Padre Piero Buschini SJ nelle sue omelie che noi oggi ci scandalizziamo di fronte a queste norme, che non esitiamo a definire “antiquate e retrograde”. Ma, a ben riflettere, non usiamo forse noi oggi gli stessi metodi con tutti coloro che sentiamo come una minaccia per la nostra convivenza e per la nostra società? I nostri meccanismi di segregazione contemporanei sono molto raffinati, coperti da leggi e dal diritto, e, più ancora, da convinzioni morali solide e rassicuranti, perfino da conclamate finalità umanitarie. E’ facile convincersi che tutto si fa “a fin di bene”. Ma è davvero così? La prima lettura ci permette di riflettere sul ruolo pericoloso, che può avere la religione, se strumentalizzata, nella cultura dell’emarginazione. Se non è vissuta in uno sforzo costante di fedeltà alle vere intenzioni di Dio, la religione stessa può finire per offrire una garanzia sacra, una giustificazione inaccettabile ai processi di emarginazione. Non è pensabile una legge religiosa che, in ossequio a Dio, emargina gli uomini più sfortunati. Le vere intenzioni di Dio non le troviamo nel vecchio testo del Levitico, ma nel vangelo che abbiamo letto, dove si vede con chiarezza che Gesù non tollera queste esclusioni!

Un altro tema è però centrale nelle ricche letture di oggi. Esso riguarda il fatto che la sofferenza, da sola, non salva automaticamente. La sofferenza non è creativa e non porta al bene da sola. La sofferenza non può mai essere fine a se stessa. La sofferenza è il momento di scelta. Come scriveva il teologo Alves, la sofferenza deve essere “feconda”, cioè deve dare vita alla fede e alla speranza, cioè deve essere orientata all’amore e alla misericordia, alla fiducia e all’abbandono.

Come scriveva ancora Padre Piero Buschini SJ nelle sue omelie “La sofferenza è la condizione dell’uomo, tuttavia, di fronte a essa, la parola della fede non è illusoria promessa di benessere, una specie di terapia alternativa per restituire all’uomo la sua integrità, è piuttosto mobilitazione contro lo spirito del male. Questa è la vocazione dell’uomo. Di fronte all’ammalato non c’è spazio per l’illusione. C’è spazio solo per l’amore e per l’impegno. E’ questa la legge del regno non la promessa del miracolo. Il Signore affida all’uomo questo compito perché se la vittoria sulla sofferenza è conquista impegnativa fa crescere l’uomo. Se invece è dono gratuito può impoverire la sua umanità. Il facile benessere è spesso privo di tensione morale”.

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